Il ragazzo e l’airone – Volando attraverso i meandri della vita

1943, Tokyo. Durante il conflitto della seconda guerra mondiale, il dodicenne Mahito perde la madre Hisako in un incendio. Un anno dopo, lui e suo padre lasciano Tokyo per trasferirsi fuori città, al riparo da distruzione e dolore. Ad attenderlo nella nuova casa, e vita, il ragazzo troverà la nuova compagna del padre Natsuko – che dapprima faticherà ad accettare come “nuova madre” – e un grande Airone cenerino piuttosto stravagante che sembrerà accoglierlo con particolare “interesse”. Cercando di adeguarsi alla
nuova vita e al nuovo ambiente, e ancora preso a elaborare il terribile lutto di una madre scomparsa precocemente, Mahito scoprirà un mondo magico che sembra generarsi dai dintorni della sua nuova abitazione. A catturare in particolar modo l’attenzione del ragazzo saranno il volteggiare frenetico e sempre più insistente dell’Airone grigio e quella grande e vicina torre costruita, secondo i racconti, dal prozio, e sulle cui origini si affastellano una molteplicità di storie. Reale e magico finiranno poi per sovrapporsi trascinando il ragazzo nei meandri di un mondo fantastico e affascinante popolato da moltissime creature e altrettanti contrasta(n)ti sentimenti.

Con Il ragazzo e l’Airone, ben sette gli anni di realizzazione del film come adattamento dal romanzo giapponese E voi come vivrete? di Genzaburo Yoshino, Miyazaki ritorna ai mondi ricchi e variegati di sempre, del suo fare cinema in perenne bilico tra racconto e memoria, tra una Natura travolgente sempre pronta a reclamare il proprio spazio e un’umanità ingegnosa ma mai troppo allineata alle tematiche ambientali. Equilibri precari che cercano di affermarsi o emanciparsi a seconda dei momenti storici,
attraverso la solita commistione di elementi naturali (acqua, aria, terra e fuoco) che convergono o entrano in conflitto tra loro.

Come in ogni film di Miyazaki che si rispetti si corre, si vola, si attraversano oceani e mondi infuocati per inseguire a perdifiato qualcuno – o qualcosa – che spesso incarna il valore ultimo dell’opera in sé. E anche qui il film non è altro che un volo verso elaborazioni e redenzioni che passano attraverso un passato doloroso e un futuro per il quale combattere, tra pappagalli mostruosi e spiriti dalle sembianze umane. È un mondo estremamente ricco e fantastico, sviluppato su più livelli e molteplici binari
narrativi, quello che ci offre quest’ultimo lavoro dell’indiscusso maestro giapponese che porta la firma (sempre riconoscibile) del sodale Studio Ghibli.

Il ragazzo e l’airone vive della bellezza tipica dei film del maestro ingaggiando con lo spettatore una lotta costante (che dura oltre due ore) per trascinarlo in un mondo fatto di realtà immersive, abitate da una moltitudine di creature magiche (l’airone in primis). In quest’opera la ‘carne al fuoco’ (intesa come materiale narrativo e visivo) è davvero tanta (a tratti davvero troppa, con mondi e livelli narrativi che si affastellano quasi senza soluzione di continuità), ma la profondità e la bellezza incantata delle immagini,
così come gli abissi simbolici del racconto, tendono comunque a prevalere, facendo emergere di prepotenza quell’immaginario ammaliante che tra mari, monti e realtà sommerse riesce a parlarci del nostro equilibrio precario, dell’avidità umana e di dolori tipicamente terreni sempre tanto difficili da affrontare ed elaborare, salvo avere a disposizione una fervida immaginazione (possibilmente miyazakiana) con la quale provare a trascendere ogni (o quasi) stortura del mondo reale.

  • a cura di Elena Pedoto

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